Nonostante i miglioramenti apportati in merito all’allineamento della legislazione nazionale con le disposizioni della Convenzione di Istanbul in Croazia, sussistono ancora molte difficoltà. Tra queste figurano, ad esempio, problematiche nel trattamento giudiziario dei casi di violenza di genere contro le donne. Spesso, le sentenze per gli autori dei reati sono troppo lievi con sanzioni economiche minime e si registra inoltre una insufficiente cooperazione interdipartimentale e multisettoriale.
Secondo i rapporti annuali dell’organismo indipendente – Ombudswoman croata per la parità di genere – ogni anno si nota una crescente brutalità nei casi di violenza domestica. La pandemia globale, l’isolamento, le misure di permanenza a casa hanno portato a un drastico aumento della violenza contro le donne e i loro figli.
Nelle sue relazioni l’Ombudswoman (Difensore Civico) sottolinea la necessità di modificare il quadro legislativo, poiché le leggi fondamentali per combattere la violenza contro sono in gran parte incompatibili con la Convenzione di Istanbul. Un ulteriore grande problema è rappresentato dal fatto che in Croazia tuttora la relazione tra disuguaglianza di genere e violenza contro le donne non viene considerata.
Secondo i dati statistici raccolti dal Ministero degli Interni (MoI) nel 2020 c’è stato un aumento della violenza domestica in famiglia del 43,4% rispetto all’anno precedente. Una tendenza positiva osservata è l’aumento del numero di imputazioni penali per la violenza domestica e una riduzione del numero di imputazioni per reati minori.
Il quadro legislativo croato per la violenza contro le donne è costituito dal Codice penale e dalla Legge sulla protezione contro la violenza domestica. Secondo le statistiche del Ministero dell’Interno si è registrata una diminuzione del 7,4% per la violenza domestica nel quadro della legge sui reati minori, rispetto al 2019, mentre allo stesso tempo si registra un aumento del 39% per il reato di violenza domestica perseguibile dall’articolo 179 del codice penale.
La direttiva CE 2011 / 99 / UE è stata recepita nella legislazione croata attraverso la legge sulla cooperazione giudiziaria in ambito penale con gli Stati membri. Gli ordini di protezione in Croazia sono regolati sia da leggi di natura penale (Codice penale, Legge di procedura penale) che da leggi sui reati minori (LPDV).
Le misure cautelari emesse ai sensi della LPDV non sono adatte ai fini dell’Ordine di protezione europeo, il che rappresenta un grosso limite considerando che c’è ancora un numero molto alto di casi di violenza domestica trattati come reati minori. Peraltro, la maggior parte degli ordini di protezione in Croazia sono emessi dalla polizia nell’ambito della LPDV.
Ciò che manca è un sistema di monitoraggio che raccolga informazioni sul numero di ordini di protezione emessi. Non esiste un dipartimento governativo o un organismo incaricato del monitoraggio e della raccolta di dati sugli OPE. Di conseguenza, è impossibile valutare l’efficacia degli OPE in Croazia.
Un altro problema è la mancanza o la limitata conoscenza dell’OPE da parte dei professionisti che lavorano nel campo della violenza contro le donne e nel sistema della giustizia penale, come giudici, procuratori, avvocati, e soprattutto la mancanza di conoscenza da parte dei primi interlocutori – i primi ad entrare in contatto con la vittima – della POLIZIA e delle unità di supporto alle vittime nei tribunali.
Infine, le vittime non vengono informate circa i loro diritti nonostante la consapevolezza da parte della persona sopravvissuta alla violenza sia essenziale, considerando che l’emissione dell’OPE è dipendente dalla persona protetta.
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